Pet therapy al Careggi: cani nel reparto di Rianimazione
Gli animali aiutano a stare meglio i pazienti. Lo sanno bene i medici del Careggi, ospedale dove oggi si parlerà del primo progetto italiano di pet therapy in un reparto di Rianimazione d’emergenza
L’evento nel corso del quale verrà presentato il progetto di pet therapy in corsia si svolgerà presso l’Aula magna del nuovo ingresso del nosocomio toscano. Lo scopo precipuo dell’iniziativa è migliorare l’umore dei pazienti nel reparto di Rianimazione, spesso soggetti disturbi come ansia e stress. Gli animali possono fare la differenza e migliorare la condizione dei pazienti. Al Careggi, comunque sia, è già stato avviato un progetto di pet therapy presso il reparto di Reumatologia: diversi cani hanno rasserenato e reso meno stressati molti malati di sclerosi sistemica, patologia autoimmunitaria che colpisce organi interni e pelle. Ebbene, dopo questo primo test, è emerso che l’utilizzo dei cani in corsia ha favorito non solo un forte calo del dolore cronico ma ha anche inciso positivamente sull’umore dei pazienti e sulla loro capacità di relazionarsi. Ovviamente, non tutti i cani possono partecipare alle sedute di pet therapy nei nosocomi, ma solo quelli che hanno determinate caratteristiche di tipo sanitario e comportamentale. Le sedute di pet therapy fanno parte del percorso terapeutico di ciascun paziente e vengono annotate nelle cartelle cliniche.
In Italia è sempre più forte la consapevolezza dell’importanza degli animali per migliorare l’umore dei pazienti che si trovano negli ospedali. E’ stato appurato che trascorrere del tempo con cani e gatti favorisce le relazioni sociali e allontana stress, ansia ed altri disturbi dell’umore. Repubblica, un paio d’anni fa, riportò i risultati di uno studio sulla pet therapy, evidenziando i benefici di una terapia nuova che, in molte nazioni, è affiancata da anni a quella tradizionale. Tra i vantaggi apportati dalla pet therapy ricordiamo un forte calo della pressione, della glicemia, dell’ansia e del battito cardiaco, nonché un incremento del livello degli ‘ormoni del benessere’, le endorfine e il cortisolo. Significative le parole di Chiara Catalani, veterinario comportamentalista che ha preso parte a numerose sedute di pet therapy:
“Quando il cane, il cavallo, l’asino e il gatto, come dicono le più recenti evidenze scientifiche, sono educati e guidati ad operare nel modo giusto insieme al conduttore, possono fare miracoli. L’animale va selezionato, deve avere 2-3 anni, essere sano e maturo, cioè capace di metabolizzare le esperienze che il suo lavoro prevede… Il corso educativo può durare più di un anno. Queste regole valgono per tutti gli animali che il responsabile del progetto e l’equipe multidisciplinare decidono di coinvolgere”.
La pet therapy rappresenta un nuovo iter terapeutico che vede la partecipazione di numerosi individui (pazienti, medici, veterinari, educatori, assistenti sociali etc.) ma i veri protagonisti sono gli animali. Vale decisamente la pena lavorare sui progetti di pet therapy perché si tratta di una terapia che fa sentire veramente meglio i pazienti che devono trascorrere le loro giornate nelle grigie stanze d’ospedale. Non dimentichiamo, poi, che un decreto presidenziale ha attribuito alla pet therapy una valenza terapeutica. In Italia molte norme regionali hanno già riconosciuto l’importanza della pet therapy; manca solo una legge nazionale.