La Corte europea dei diritti umani ha obbligato l’Italia a versare a Bruno Contrada 10.000 euro a titolo di danni morali, visto che “non doveva essere condannato per concorso esterno in associazione mafiosa perché, all’epoca dei fatti (1979-1988), il reato non era sufficientemente chiaro”.
L’ex membro del Sisde aveva proposto ricorso alla Corte di Strasburgo invocando il principio “nulla pena sine lege”. In sostanza, la condanna si riferiva a fatti avvenuti prima dell’entrata in vigore della legge sul reato di concorso esterno in associazione di stampo mafioso.
Il ricorso di Contrada, dunque, è stato accolto. Secondo la Corte europea dei diritti umani, i giudici italiani non avrebbero preso in considerazione, nel momento della condanna il “principio di non retroattività e prevedibilità della legge penale”.
Contrada aveva chiesto un risarcimento di 30.000 euro per danni morali; la Corte, come detto, ha obbligato l’Italia a versargliene solamente 10.000.