Francesco Schettino, ex comandante della Costa Concordia, nave naufragata davanti all’Isola del Giglio la sera del 13 giugno 2012, si definisce un capro espiatorio, insomma una persona che sta pagando per tutti perché le colpe non sono sue, o meglio non sono solamente sue. Schettino è stato condannato a 16 anni di reclusione anche in Appello ed ora spera nella Cassazione. Solo la Suprema Corte può evitargli il carcere. Il relitto della Costa Concordia si trova a Genova, lo stanno smantellando, e l’ex comandante Schettino vive a Meta di Sorrento, tormentato da quel ricordo e convinto di essere una vittima. Francesco trascorre le sue giornate portando a spasso il suo cane tibetano, vuole non pensare a nulla ma non ci riesce. Il ricordo di quella serata e delle vittime è troppo forte. Del resto, davanti ai giudici, di recenti, Schettino ha detto:
“Assieme alle 32 vittime, quella notte, sono morto anch’io”.
Gli operai stanno smantellando la Costa Concordia e i magistrati e gli avvocati stanno minando seriamente l’equilibrio psichico di Francesco Schettino, uomo che è stato ferito nell’amor proprio, ad esempio, quando in Aula il pm lo ha definito “incauto idiota”. Un affronto grande per un uomo che ha una grande esperienza marittima, con 30 anni di navigazione alle spalle. Un ‘inchino’, però, ha cambiato tutto in un attimo, ed ha causato danni e morti. Oggi Schettino è un uomo triste: non guarda più la tv e trascorre molto tempo al pc, navigando sul web e leggendo le mail che riceve da tantissime persone, come quella inviatagli da Arne Sagen e Jan Harmen, della nota Skagerrak safety foundation:
“Dear Francesco, questa sentenza è una breccia nel codice Ism, e dimostra che i magistrati italiani non conoscono le responsabilità giudiziarie degli accordi sulla sicurezza marittima ratificati anche dal loro Paese”.
Dalla sua abitazione, Schettino, vede navi e motoscafi sul mare. Gli manca tanto la sua professione. Non ce la fa più l’ex comandante della Concordia: lo sanno anche i suoi amici. Nel corso di una recente intervista, Schettino ha detto:
“Non ho sbagliato io la rotta. Stavamo a mezzo miglio dalla costa e a quella distanza il governo della nave è affidato alla guardia, non al comandante. Lo dice il codice di navigazione, e infatti hanno patteggiato tutti: il primo ufficiale, Ambrosio, che faceva le misurazioni nautiche, il terzo, Coronica, che guardava il radar, l’ufficiale subentrante, Ursino, che non si capiva bene cosa facesse. E nessuno ha fiatato, non uno che dicesse: ‘comandante, siamo alla distanza minima! Comandante! Attenzione!”.
Alla fine di quest’anno del relitto della Concordia non resterà più nulla, neanche un bullone. Molto materiale è stato riutilizzato per altri scopi, come la costruzione di altri natanti. La fine del 2016 potrebbe coincidere anche con l’entrata di Schettino in carcere, poiché se la Cassazione confermerà la sentenza d’Appello per lui non ci sarà più scampo. “Pago io per tutti”, ha affermato più volte Schettino. Sta per pagare effettivamente le colpe di tutti? Molti definiscono il comportamento della giustizia italiana nei confronti di Schettino una vera congiura, un immenso rancore. Ricordiamoci, però, che di mezzo ci sono 32 vittime. Qualcuno deve pagare perché giustizia va fatta. Ma deve pagare solo Schettino? Durante il processo davanti alla Corte d’Appello di Firenze, uno degli avvocati dell’ex comandante della Costa Concordia, Saverio Senese, si è rivolto ai magistrati con queste parole:
“Schettino non ha mezzi, non ha soldi. Noi della difesa non abbiamo i mezzi potenti che ha l’accusa. Non ritengo temerario proporvi di assolvere Francesco Schettino… E’ stata consumata una grave ingiustizia, c’è stato un accanimento che non si spiega. Non insistiamo a dire che le prove non ci sono e quelle che ci sono sono state lette nella maniera sbagliata”.
L’avvocato senese si è scagliato contro i giudici del tribunale di Grosseto che, condannando a 16 anni di reclusione il suo assistito, poiché avrebbero “sistematicamente disapplicato le regole generali a cui occorre fare riferimento nel processo, dimostrando delle regole più elementari”.
Durante l’arringa difensiva, a Firenze, il legale di Schettino ha parlato anche di quel celeberrimo “torni a bordo, cazzo!” del capitano Gregorio De Falco:
“Era un ordine impossibile da eseguire. Schettino non era in condizione di eseguirlo. Chi pensa che ci sia stata un’inadempienza forse ha visto troppi film di pirati. Schettino era un povero naufrago in quella circostanza ed è stato condannato per un reato ignominioso per un marinaio, reato che lui non ha commesso”.